LO SPECCHIO DELLA STAMPA

22 NOVEMBRE 2003

NATURA STORIA DI UN FIUME

Così sono diventato il grande Po

Nel primo libro era un albero. Ora è il regale corso d’acqua italiano. Come fa uno scrittore a capire la natura fino alla metamorfosi? Leggete qui…

DI GUIDO MINA DI SOSPIRO

Sulla lancia che risaliva lentamente l’Orinoco ero salassato da così tante zanzare che avevo perso la fede negl’insetticidi. Un rugosissimo vecchio a Ciudad Bolivar mi consigliò di fumare puros, a catena. Il sangue, debitamente intossicato dalla nicotina, avrebbe acquistato un sapore sgradito alle zanzare. Dopo qualche giorno, mi resi conto che era proprio così.

Rimontando l’Orinoco, la giungla sulle rive si faceva sempre più fitta. Era ciò che cercavo: un fiume intonso dall’uomo. Sir Ghillean Prance, che tanto m’aveva aiutato nella ricerca per il mio libro L’albero, m’aveva esortato a rintracciare un certo etnobotanico statunitense. Lo trovai dopo non pochi tentativi in un accampamento in riva al fiume. Conduceva ricerche con gli sciamani locali, e ingeriva dosi epiche di funghi contenenti psilocibina. Il mio interrogativo era essenziale: un fiume vive d’una vita propria, o è un mero collettore d’acqua, privo d’identità? L’etnobotanico m’incoraggiò a cercare la risposta nell’Ayahuasca, l’infuso psico-attivo degli sciamani a base della liana Banisteriopsis caapi in uso da millenni. Il mio stomaco non resse l’affronto, il sapore era immondo.

Ma quando riuscii finalmente a non rimettere, iniziò un’esperienza straordinaria. Il fiume m’apparve prepotentemente vivo: ogni particella d’acqua ribolliva d’una vita sua.

Rinfrancato, lasciai la giungla e mi rituffai nel nostro Rex fluviourm, sua maestà il Po, che nel corso di nove anni avevo perlustrato palmo per palmo dal Monviso all’Adriatico. L’idrologo Virgilio Anselmo m’assisteva generosamente nella ricerca, nonché il massimo esoterista al mondo, Joscelyn Godwin.

Nessuno aveva scritto le memorie d’un fiume in prima persona, o meglio, in primo fiume. Avendo scelto come soggetto un fiume così ricco di storia e mitologia, avrei scritto, en passant, la storia d’Europa e d’Italia dal paleolitico a oggi, ma narrata da protagonisti e spettatori del tutto inediti.

Nel mio studio a Miami giunsi alla conclusione che era necessario uscire da me stesso, ma in maniera – paradossalmente – endogena. Come? Digiunai per mesi: caffè cubano, sigari e qualche mango (il digiuno è pratica tradizionale per accedere a stati alterati). Entrai in una dimensione in cui la realtà è percepita da prospettive diverse, e cioè “antropo-ec-centriche”. Vedevo il mondo in modo nuovo. Sembrava d’essere nella Terra di Mezzo, eppure mi trovavo nella nostra Terra. La commistione fra il reale e il fantastico era così ambigua, che il mondo parallelo diventava il nostro, e viceversa. Su tutto, si diffondeva lo spirito d’una natura vivente e soffusa di eros.

Continuavo, intanto, a corrispondere intensamente con alcune delle menti più brillanti ed eccentriche del nostro tempo. Rupert Sheldrake, caro amico e rivoluzionario biologo e filosofo della scienza; Marija Gimbutas, che non è più con noi, ha capovolto la nostra concezione della preistoria, contribuendo alla rinascita del mito della dea; Riane Eisler, sua seguace, il cui libro The Chalice and the Blade (Il calice e la lama) è stato a sua volta rivoluzionario; Marie-Louise von Franz, scomparsa da qualche anno, è stata la più grande discepola di Jung, e per certi aspetti ne ha saputo illustrare il pensiero addirittura meglio; Idries Shah, il primo a portare il Sufismo all’attenzione dell’Occidente; James Lovelock, autore della teoria GAIA; Terence McKenna, morto recentemente (e non sorprendentemente) d’un tumore al cervello, grande divulgatore delle sostanze psico-tropiche; Ralph Abraham, uno dei matematici responsabili della teoria del Caos. Tutti si misero generosamente a mia disposizione.

Via via, Il fiume s’animava d’una foltissima galleria di personaggi: il Po, in primis, e i suoi affluenti; le montagne da cui sgorgano; gli dei e le dee della mitologia grecoromana e celtica; ninfe d’acqua come l’ammaliante Salmacis, condotta da capricci e tribolazioni anche sul Tevere della Roma imperiale e sull’Arno della Firenze del Rinascimento, ove diventa la modella di Botticelli per il suo capolavoro La nascita di Venere; gnomi, ondine, silfidi, angeli di diversi ordini, muse; uccelli, mammiferi, insetti e pesci; rivolgimenti storici e protagonisti degli stessi, come Attila, Carlo Magno, Leonardo da Vinci, fino a Napoleone e Hitler.

In che modo sarei riuscito a rendere il romanzo accessibile e appassionante? Distillando e diluendo, sia la materia, sia la trama, fitta e incalzante. Ero in più amico di tale Enrique Hombrados, un autentico mago dei computers. Io e lui assieme sviluppammo un software molto sofisticato ad hoc che m’imponesse sistematicamente una scrittura sobria e “ingannevolmente semplice”, come dicono i critici letterari inglesi.

Vi fu poi la revisione, a Parigi, su invito d’una editor inglese di Albin Michel. O perlomeno, così era nei programmi. Ma ero ancora turbolento e intrattabile come un fiume in piena, perciò lasciai presto Parigi, ma non la Senna, in riva alla quale terminai la prima revisione. Venne poi l’imprimatur del mio editor inglese, Christopher Sinclair-Stevenson. Infine, l’ultima revisione, a Taos, in riva al Río Grande, nel New Mexico. Lavoravo in una casetta di adobe in riva al fiume, senza riscaldamento, ma con la felice compagnia delle mia Sophia perennis: Stenie, mia moglie. A 2200 metri, di notte faceva freddo; di giorno, caldo. La legna nel camino ardeva senza una bava di fumo, dato il clima secchissimo. Non c’era rumore, solo lo sciacquio delle acque. Il romanzo si cristallizzò.

Il fiume è ora nelle vostre mani. Spero che dia a voi tanto quanto ha dato a me. G.M.d.S.