5 dicembre 2003
Guido Mina di Sospiro ha scritto l'”autobiografia” del Po: un inno d’amore per la Natura e la nostra terra
<<IL GRANDE FIUME? UN DIO IN ESILIO>>
ELENA PERCIVALDI
Basta guardarlo in faccia per capire che si tratta di uno spirito profondo. Guido Mina di Sospiro, erede di un’antica famiglia aristocratica cremonese, è nato a Buenos Aires ma è cresciuto a Milano. Ha studiato a Pavia e in Usa e ora vive a Miami con la moglie e i tre figli. Ma non ha dimenticato le nebbie padane. Le atmosfere soffici e ovattate. O le grandi calure estive della pianura, quelle molestate dal ronzìo delle zanzare. Soprattutto, non ha dimenticato lui, il Grande Fiume. Che gli è rimasto dentro come un amico, un parente lontano e al tempo stesso vicino. Come un avo che si ama e si rispetta, e non si vede l’ora, nel profondo del cuore o della memoria, di riabbracciare.
Il suo, splendido nuovo romanzo, intitolato “Il fiume” (edito da Rizzoli), ha come protagonista proprio il Po e la sua storia a partire dalla profondità delle ere geologiche in cui si è formato. Una storia ricca di personaggi: gli affluenti, le montagne da cui sgorgano, dei e dee della mitologia classica e celtica, ninfe, gnomi, angeli, uccelli, mammiferi, insetti e pesci. E personaggi storici come Attila, Carlo Magno, Leonardo, Botticelli, fino a Napoleone e Hitler. Il tutto raccontato dal Po in prima persona: una lunga confessione che è la summa di un’antica sapienza le cui radici affondano nella vita segreta, nel grembo più intimo della Natura.
Guido Mina di Sospiro ha voluto con questo romanzo – il secondo di una trilogia iniziata con “L’albero” e destinata a concludersi con “Vulcano” – raccontare un’epopea, quella delle civiltà che hanno popolato la valle del Po plasmandola nei secoli, destinata a trasformarsi, forse, in tragedia. La Natura, un tempo animata da divinità, è stata a lungo sfruttata, incanalata, violentata. Così anche il Grande Fiume, che era considerato un dio e si chiamava Bodinco o Eridano, alla lunga si è stancato. Il suo spirito ha deciso di fare le valigie, ritirandosi in esilio in attesa di tempi migliori. Del Dio Po, oggi, restano solo le acque. Ma – ed è questo il messaggio del libro – insieme agli altri dèi attende solo un nostro segnale per tornare sulla Terra e riconsacrarla con la sua, la loro presenza.
“Innazitutto per un legame di “sangue”: i miei avi erano padani e per mille anni hanno vissuto sul Po, ed è qualcosa che mi appartiene fin dal profondo. È un fiume mitologicamente ricchissimo, ma anche da un punto di vista naturalistico è eccezionale”.
Un fiume che si “auto-racconta”: un’idea davvero originale. La storia incomincia con una goccia d’acqua che vuole diventare importante. E ci riece al punto da trasformarsi nel fiume che ha creato la Pianura Padana. Crea, insomma, la nostra terra.
“Sì, ed è per questo che il Po era venerato dalle società matriarcali che abitavano la Pianura nella preistoria. Erano società consapevoli e rispettose del mondo naturale anche perché da esso dipendevano in tutto e per tutto. I fiumi e i monti erano considerati divinità e quindi rispettati. Non come oggi”.
La storia si dipana attraverso i Celti, gli Etruschi e i Romani, il Medioevo e il Rinascimento, fino ai giorni nostri. Ma l’epilogo è tutt’altro che lieto…
“Dalla fine del Rinascimento in poi, le entità naturali divinizzate vengono pian piano dimenticate. L’Illuminismo, poi, dà il colpo di grazia. Il Fiume viene sempre più canalizzato, scavalcato da ponti, arginato, cementificato. Intorno a sé, vede gli altri dèi minori acquistare un corpo sempre più sottile, fino a scomparire. Per questo anche lui decide di andarsene, lasciando l’acqua inanimata, come l’umanità vorrebbe. Si congeda, ma lo fa a malincuore. E aspetta solo un nostro segno per tornare a casa”.
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Facciamo un passo indietro. Nel libro c’è un dialogo incessante tra il Po e il “Piccolo Popolo”: gnomi ed elfi, le “entità fatate” della Padania.
“Infatti. Ma il loro “mondo” però si ritrae sempre di più man mano che l’uomo si impossessa del territorio e lo modifica con violenza. Fino a scomparire”.
In ciò hanno un ruolo importante gli antichi Romani, che da questa autobiografia del Po escono piuttostro malconci. Soprattutto per “colpa” dell’ingegner Geometricus, un razionalista che vuole imbrigliare il fiume e sottomettere la natura. E’ una figura archetipica, e rappresenta una mentalità contraria a quella dei Celti, tanto che non è neppure capace di vedere le farfalle…
“È vero. Geometricus è un cartesiano ante litteram, anche se Cartesio come persona era molto spirituale. Gli antichi Romani avevano una tendenza incallita a spianare tutto quanto, senza rispetto per nulla. Anche oggi agli idraulici piacerebbe che il fiume fosse un canale, dritto come una strada romana. Invece è ramificato come un albero”.
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Geometricus è artefice del dominio sulla natura. Come Leonardo, che ad un certo punto viene definito “un ladro che deruba il mondo delle qualità divine”. Al Po proprio non stava simpatico, vero?
“In effetti, nemmeno a me piace molto. E’ un grande factotum. Meglio Botticelli, che ha saputo cogliere molto di più l’aspetto spirituale della natura. Leonardo appartiene alla stessa “linea perversa” che da Geometricus, arriva, passando per Cartesio e Newton, agli Illuministi: tutti accomunati dal desiderio di dominare la natura. In più Leonardo aveva un pessimo rapporto con le donne, ne ritraeva sempre di brutte. E la terra, non dimentichiamolo, è femmina. E bisogna amarla”.
Ci dica: oggi, la terra e il Po sono amati?
“Non direi proprio. I discendenti di Geometricus pensano che non si possa dare libertà ad un fiume. Per questo lo hanno incanalato. Dalla parte del delta, nel Polesine, è addirittuta stato sopraelevato con una serie di canali che ne aumentano la velocità. Col rischio che, straripando, diventi una cascata capace di travolgere tutto”.
Ma il Po ha fatto danni anche nel remoto passato, quando non c’era il cemento e quindi la colpa non poteva essere imputata all’uomo…
“È vero. Il Po ha cambiato il suo corso varie volte nella storia. Nel 589 ci fu un’alluvione spaventosa, che modificò l’idrografia padana: l’Adige smise di essere affluente del Po, mentre il Mincio, che non lo era, lo divenne. La Pianura Padana è per sua natura alluvionale, quindi bisogna fare i conti anche con questo fenomeno, perfettamente naturale. Il problema è che gli stanziamenti umani di un tempo erano rispettosi del fiume, non si trovavano mai a ridosso, perché gli antichi sapevano che rapporto tenere con il Po. Oggi invece si continua a costruire”.
Tanto che il Po, alla fine, accusa l’uomo di volerlo uccidere…
“La gente non capisce quanto sia sbagliato staccarsi dalla natura. Tutto o quasi ormai si svolge in poche grosse città. Io ho alcuni parenti nella Bassa Padana che mi dicono che il fiume sta per diventare biologicamente morto. L’inquinamento è alle stelle, Milano non ha neppure un depuratore e continua a scaricare nel Fiume i suoi veleni. Ha ragione a sostenere che lo stiamo ammazzando, non trova?”.
Già… Il suo è un grido di allarme che speriamo sia ascoltato anche da chi ci governa. E dai giovani. Cosa può insegnare loro questo libro?
“Qualcuno ha detto, a ragione, che viviamo su un pianeta mangiabile, respirabile e vivibile e cerchiamo di renderlo immangiabile, irrespirabile e invivibile. Io vorrei che il mio libro ci spingesse a riconsacrare la natura, a farle ritrovare il suo ruolo centrale nelle nostre vite. Cominciando dalle piccole cose. Nell’agosto 1982 io e la mia futura moglie siamo stati a Pian del Re e della Regina e non c’era nessuno. Nel ’96 ci sono tornato con mio figlio in agosto e pullulava di gente. Evidentemente, qualcuno ne aveva parlato… Ora, per fortuna, il Po è diventato un’attrazione”.
Speriamo in positivo. Nel frattempo, esiste secondo lei una maniera per riconciliarsi con il Po e con la Natura?
“Beh, ci sono leggi contro l’inquinamento e gli scempi che funzionano a forza di multe, ma non basta perché il problema è affrontato a valle e non a monte. Bisogna far capire alla gente che il mondo naturale è bellissimo, e cercare di cambiare la mentalità a partire dalle scuole. Insegnando che non si può avere tutto. Far piantare ai bambini i pomodori e il basilico, e insegnar loro a rispettare i cicli naturali. Potrebbe essere un inizio”.
Occorre tornare, quindi, ad essere spiritualmente più simili ai Celti e meno agli antichi Romani?
“Questo è sicuro”.