IL CORRIERE DELLA SERA

ELZEVIRO Mina di Sospiro: “Il Fiume”
TERZA PAGINA

Il romanzo dell’uomo che scorre sul Po

di ETTORE MO

Ci ha lavorato nove anni, Guido Mina di Sospiro, per dare un seguito, con questo nuovo libro intitolato Il Fiume , al suo affascinante romanzo L’Albero , uscito nel 2002 per le edizioni Rizzoli. E anche questa volta ha fatto centro raccontando la vita del Po e, con essa, la storia d’Italia e d’Europa dagli albori ai giorni nostri, diventando egli stesso il Fiume, che narra in prima persona le proprie umane vicende.

Una carrellata di oltre 300 pagine popolata di figure mitologiche – Ninfe, Gnomi e Maghi – e personaggi reali che in qualche modo si sono affacciati alle sue sponde, da Attila a Carlo Magno, da Leonardo a Botticelli, da Napoleone a Hitler. Condivido in pieno il giudizio dello scrittore Joscelyn Godwin quando definisce il libro “L’appassionata testimonianza di una natura vivente e di un cosmo soffuso di Eros. Si legge affascinati dalla superficie, poi, alla fine, ci si rende conto d’essere stati toccati da qualcosa di profondo”. Una profondità che, però, non smorza l’interesse per la trama, che si dipana tra il mondo fantastico e quello reale grazie a una prosa vivace e leggera, piena d’incanto.

Il lavoro di ricerca è cominciato nel 1994 sulle rive dell’Orinoco e successivamente l’Autore ha studiato e “dialogato” coi fiumi di tre continenti per penetrare nell’anima del Po, consultando filosofi, botanici, matematici, biologi, esperti di esoterismo e idrologia padana di prestigio internazionale, che l’hanno aiutato a fondere insieme scienza e fecondità poetica in totale immersione. Come per L’Albero , anche Il Fiume è stato scritto in inglese, che Guido Mina di Sospiro (rampollo di antica famiglia aristocratica italiana) conosce alla perfezione essendosi trasferito ancor giovane negli Stati Uniti dove tuttora vive, a Miami, insieme alla moglie Stenie e ai loro tre figli. La traduzione in italiano è di Maria Sepa che si è valsa della collaborazione dell’autore. Ma per prepararsi degnamente all’impresa, egli aveva digiunato per mesi (nutrendosi di caffè cubano e sigari dominicani) e questo perché – rivela – doveva assolutamente uscire da se stesso e perché “il digiuno è antica e tradizionale pratica per accedere a stati alterati” che gli avrebbe consentito di “vedere il mondo da prospettive affatto inedite”: risultato che gli impressionisti conseguivano con minor sacrificio, semplicemente ubriacandosi d’assenzio.

Diventato il Po (ma non quello di Bossi) Guido parla, con la voce del Fiume, della sua nascita, quand’era soltanto una goccia d’acqua e poi di quando era ruscello ed era amareggiato dalla prospettiva di fondersi nel mare. È sempre infante quando incontra il Vecchio Gnomo e il dio Pan, mezzo uomo e mezzo capra, d’inesauribile appetito sessuale che insidia le ninfe, pudiche e bellissime come Syringa e Salmacis. Ed è un giovinetto quando vede immerse nelle proprie acque, “tiepide… e calme” femmine umane che stanno facendo il bagno.

S’era ormai lasciato alle spalle l’Età della Pietra, il Guido-Po, ed ecco che vede affacciarsi sulle proprie rive i Celti “che cavalcavano nudi” e quindi i Romani “che portavano cotta di maglia, elmo e scudo… e sembravano, nel complesso, più organizzati”. Far la guerra sembrava la loro vocazione. Così pure conquistare nuovi territori. A quel tempo – ricorda – mi chiamavano Eridano. Ma dopo la confluenza col Ticino “divento un possente fiume di pianura” con cui “faccio l’amore, accarezzandola incessantemente”. E più avanti gli cambieranno di nuovo il nome, che è cortissimo, addirittura un monosillabo, Po, assolutamente inadatto a descrivere l’ampiezza e la lunghezza del suo corso.

Il passaggio degli Unni di Attila, il Flagello di Dio, è uno dei ricordi più tristi nella memoria del Po: in quel turbolento teatro di guerra invaso dai “barbari” compaiono anche Papa Leone e Carlo Magno, ma il Fiume alla fine pensa ad altro. “Nella mia lunga vita – ammette – sono stato attratto periodicamente dalla grazia delle donne. Fossero ninfe, ondine o quant’altro, cadevo con ricorrenza nell’abbraccio dell’amore”. Ci sono i momenti magici dell’arte e della bellezza. Il Po sembra prediligere Botticelli che avrebbe trovato ispirazione nell’avvenenza della ninfa Salmacis per la nascita di Venere: “Mai visto quadro più radioso”. È invece piuttosto sbrigativo con quel factotum (pittore, scultore, grafomane, ingegnere) di Leonardo da Vinci.

Ma la guerra finisce sempre col prevalere sull’amore: “Un generale e il suo esercito invasero la mia pianura. Si chiamava Napoleone e molti uomini lo acclamarono come un eroe, forse perché riusciva a massacrare un numero più alto di nemici in meno tempo di quanto non fosse mai avvenuto”. E nell’ultimo capitolo il Fiume s’arrabbia davvero e lo fa evocando quell’istrione di Mussolini (“uomo calvo e tarchiato”) e quella jena di Hitler, autori di una “carneficina che superò qualsiasi cosa avessi visto fare all’uomo precedentemente, e anche la mia comprensione”.

Epilogo: “La mia padrona di casa, la Terra, è stata maltrattata a tal punto che è impossibile trattenere un urlo…”. Del tutto personale l’ultimo lamento: “Sostanze inquinanti tossiche prodotte dall’uomo… fanno di me uno dei fiumi più inquinati d’Europa e del pianeta”. Cui segue la più amara conclusione del dio-Po: “Questo mondo è diventato troppo incolore e contaminato per essere ancora un luogo di piacere”.