16 gennaio 2003
Ecologismo deluso e sensi di colpa per i guasti ambientali rilanciano l’antico culto per i vegetali. Che coinvolge anche i
Neopagani sotto l’albero
Di Roberto Beretta
Sempre sia lodato il larice. E che santa quercia ci protegga, amen. C’era una volta (e forse c’è ancora) il bosco sacro in cui druidi s’aggiravano muniti di falcetti d’argento, e sacerdoti sacrificavano ai piedi dell’ulivo caro ad Atena. C’era una volta (e forse sta tornando) il culto pagano degli alberi: misteriosi, magici, sacri. «Io mi ritrovo molto guardando gli alberi. Anno dopo anno e sempre di più considero gli alberi come delle persone. Che fossero esseri viventi lo sapevo, ma adesso l’ho scoperto intuitivamente, e mi sento natura con essi». Non è la dichiarazione dell’adepto di una setta naturalistica, cinto il capo di fronde di mirto e a piedi scalzi su un tappeto di foglie, bensì di un «laico» benpensante e razionalista come Eugenio Scalfari. «Gli alberi sono stati padroni indiscussi del mondo prima degli uomini», aggiunge il nobile italo-americano Guido Mina di Sospiro, in libreria da qualche mese di qua e di là dell’oceano con un romanzo filosofico intitolato giust’appunto L’albero (in Italia chez Rizzoli). In esso si narra ed esalta la vita millenaria di un tasso che – testuale dal sito – «veglia sui riti animistici dei Celti e assiste impotente all’invasione da parte di una nuova religione, il Cristianesimo, che recide il legame tra la specie umana e le altre specie vegetali e animali. Solo oggi l’albero, finalmente protetto e venerato come simbolo di resurrezione e immortalità, può lanciare il suo messaggio di pace e armonia fra le creature». Torna dunque la religione primitiva e pacificante degli alberi, che rischiava d’essere estinta dalla violenza dei cristiani. E torna grazie a che? A uno spiritualismo dalle tinte verdi, metà ecologista e metà New Age; a un naturalismo che s’arrampica verso il sacro abbarbicandosi alle piante come un rampicante che poi le soffoca. «L’ultimo secolo è stato teo-eccentrico, teso all’allontanamento da Dio – spiega ancora Mina di Sospiro -. La società occidentale è principalmente atea, focalizzata su idee astratte cr eate dall’uomo. La reazione è nelle nuove realtà spirituali, sette incluse. Personalmente credo che Dio sia partecipabile attraverso le creature».
Ovvio che la nuova «religione arborea» trovi facili seguaci tra gli ecologisti praticanti e/o delusi da una militanza spesso più politica che agricola, tra gli innumeri stressati dai grigiori metropolitani, tra i nostalgici di una natura da agriturismo più che veramente contadina. «Le piante pensano – scrive un lettore entusiasta de L’albero -, si nutrono di sole, vivono migliaia di anni» e «in un mondo dominato dal cervello, dalla materia rivelano un’altra dimensione». E un secondo: «Un albero non è solo un essere vivente, è di più. Spirito testimone del tempo. Forza della natura che tutto sa, ci insegna a vivere, sopravvivere, morire, rinascere». Già: l’albero alter Christus, addirittura. D’altronde, da sempre la mitologia e le religioni (cristianesimo compreso) hanno trovato nei vegetali appigli simbolici o cultuali. Dal frassino-asse del mondo Yggdrasill, cantato dai poemi nordici medievali, all’«albero cosmico» caro a diverse antiche civiltà mediorientali; dalla betulla degli sciamani siberiani al fico di Buddha, alla vite di Bacco, alla foresta di mago Merlino… Quasi ogni essenza vanta la sua sacralità, nell’una o nell’altra fede, qua e là lungo i secoli e i paralleli. Né la teologia ebraico-cristiana si sottrae alla regola, che tocca ambedue gli estremi della sua storia: come dimostrano l’albero del peccato originale e il suo parallelo (o contrario?) arbor Crucis – l’albero benedetto della salvezza -, passando per il roveto ardente di Mosé e l’evangelico sicomoro su cui s’appollaiò Zaccheo. «Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce t’insegneranno cose che nessun maestro ti dirà», dettava Bernardo di Chiaravalle, santo e riformatore cistercense: ordine monastico che viveva immerso nella natura, ma senza per questo confonderla con Dio. «Che cosa sia un albero – lasciò scritto Romano Guardini, f ilosofo e teologo tedesco che ha sparso in varie opere una sua Contemplazione sotto gli alberi (ora radunata in volume da Morcelliana) – diverrebbe chiaro solo quando divenisse lampante come esso scaturisce dal pensiero e dalla potenza tanto creativa quanto amorosa di Dio». Se manca la solida radice, insomma, basta il senso di colpa per gli attuali guasti dell’ambiente a piegare – come fa il vento – il fascino primordiale degli alberi a un nuovo e post-moderno paganesimo.